Mio nonno ha sparato

Sono cresciuta convinta di sapere tutto ciò che è importante sapere sul partigiano che mio nonno è stato. Poi ho scoperto che anche lui ha ucciso.
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Mio nonno ha sparato

Ho perso mio nonno quando avevo appena 8 anni: frequentavo da poco la terza elementare, portavo già gli occhiali da vista, ovali e azzurri, e vestivo esattamente come i maschi della mia età. Mio nonno invece di anni ne aveva 76, era un po’ sordo e parlava a voce alta, ogni tanto era smemorato e distratto, ed era la persona con il cuore più buono che io abbia mai conosciuto.
Fino a non molto tempo fa sono stata convinta di conoscere di lui tutto ciò che fosse importante conoscere: iniziava a fischiare quando era ancora in giardino per avvisarci che stava arrivando; faceva la doccia di caramelle Mou a me e a mia sorella; la domenica mattina veniva a casa a leggere il giornale sul divano; non gli piacevano le regole ma amava le persone; il suo naso stava in tutta una mia mano.

Di mio nonno sapevo anche che era partito partigiano: non raccontava quasi niente e tutte le domande che in famiglia gli facevamo finivano quasi sempre in un vuoto di riservatezza e orgoglio che si portava dietro dalle montagne sopra Ventimiglia.
Dieci anni fa trascrissi al computer il suo diario, o quello che io ero convinta che lo fosse, in cui raccontava come si sentiva, dove andava, con chi, ma non diceva granché riguardo cosa facesse. Fino a non molto tempo fa sono stata convinta che mio nonno fosse stato partigiano senza uccidere nessuno, per esempio. Ma convinta eh! 

Un giorno di un anno e mezzo fa ho trovato, più per curiosità che per caso, un vecchio articolo di giornale in cui rispondeva (proprio lui stesso!) a una domanda del giornalista, molto simile a quelle che riceveva da noi e che cadevano nel suo vuoto. Alla Nuova Ferrara ha raccontato, infatti, come aveva vendicato dei contadini uccisi ingiustamente dalle camicie nere: uccidendo, a sua volta, i fascisti stessi.

Sipario.

Poi il sipario l’ho riaperto (eccome se l’ho riaperto) e ho trovato libri, altri vecchi articoli di giornale, il suo diario (quello vero, diverso dal primo che avevo trascritto perché non sapevo essere una rivisitazione di sua sorella), fotografie, poster, altri libri con annotazioni scritte da lui e segnalibri sparsi quasi a voler dire “è qui, proprio qui, quello che ti voglio dire, quello che stai cercando di sapere!”.

È così che ho iniziato a scriverci un libro, che so già come andrà a finire ma chissà attraverso cosa ci porterà, perché ora posso dirlo: io proprio non lo so.

 

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